Blasone
BREVE STORIA DI VIBO VALENTIA
LE ORIGINI D'HIPPONION
Il suo nome e la sua origine tra miti e leggende
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Hipponion fu fondata da siculi o meglio da Brezzi indigeni, come lo indica il nome osco-sabellico VEI, VEIP, 'EIPON EIPONION tramandatoci dalle più antiche monete e dalla iscrizione di Olimpia (Olympia, III Bericht, p. 78). I Greci convertirono il primitivo nome al gusto dell'antico idioma in Hipponion ed i Romani in Vibo, Vibona e, in seguito, in Bibo, Bibona, Bivona.
Sulla vocale iniziale jota, la parola IPPONION aveva lo spirito aspro, segno della caduta del Diagramma eolico, lettera dell'alfabeto greco scomparsa, corrispondente ad una forte aspirazione che Strabone riprodusse colla lettera "acca", Hipponion ed i latini colla lettera "vi" Veipunium, Vibo, Vibona come da oinos= vinum, ois= ovis, espéra= vesper.
Alcuni erroneamente hanno fatto derivare il nome Hipponion dal greco ippos "cavallo" per significare il valore e la generosità degli abitanti e della forma equina del fabbricato o la città stessa nutrice di ottimi cavalli; altri invece da Ubo, voce orientale che vuol dire insenatura, cambiata dai Greci in Hippo, Hipponion paese al centro della insenatura.
Tolomeo ritenne Hipponion fattura dei Fenici, posta sulla spiaggia marittima, secondo quanto avevano tramandato i geografi più antichi. Padre Loenardo Alberti, su le orme di Tolomeo, esaminando la voce Hippo, assicura che essa risponde al nome di una città sul mare giacente in mezzo a stagni.
Stefano Bizantino attribuisce la fondazione d'Hipponion ai Focesi mentre Strabone l'attribuisce ai Locresi (Strab., 1. Vi): locrorum aedificium.
E' da scartare inoltre quanto ci riferisce Proclo circa Ermippo, sovrano d'Hipponio e circa Calais sua moglie che gli successe nel governo della città. Questi principi furono divinizzati dai devoti cittadini i quali ad Empirro diedero il nome di Giove Ipponiato e a Calais quello di Demetra o Cerere. Pare lo dimostrano due monete d'Ipponio,
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Si è creduto pure che Hipponion sul mare sia stata edificata da Ercole o da suo figlio Brento col porto detto "portus Herculis". La qual cosa spiegherebbe la prontezza con cui Plutone poté compiere il ratto di Proserpina e trafugarla col suo sicuro canotto o sulla veloce biga. Da quel luogo i cavalli avanzando con passo marziale, testa alta e coda pettinata, trasportano via la fanciulla impaurita, che porta le mani elevate in alto, come la riscontriamo nelle tavolette fittili di Locri. In luogo vicino al mare fu poi eretto un maestoso tempio alla rapita donzella, uno dei più belli che vantasse la Magna Grecia. La tradizione parla delle sue trecento colonne di granito di Numidia: su diciotto pilastri di porfido si levava l'altare d'argento ed alabastro con la statua della dea.
A questo tempio venne pellegrino il matricida Oreste per prescrizione dell'oracolo di Apollo Delfico. L'uomo perseguitato dalle Erinni, sulla soglia della follia, venne qui umile, come un paziente che provi l'ultimo rimedio, davanti all'altare della dea, maestra d'ogni balsamo. Nella calma del suggestivo paesaggio, sui prati rivestiti di fiori di forma, colore e aroma tanto originali, Oreste riacquistò la salute.
Sul nome d'Hipponion si è sbizzarrita anche la fantasia dei Greci, usi ad attribuire la fondazione di città, di origine ignote, ad un eroe, per accrescere la fama delle sue gesta. E si generò la credenza che i Focesi, dopo l'espugnazione di Troia, spinti dopo la tempesta in Italia, abitarono Temesa o Tempsa (città presso Nocera Torinese) ed il loro condottiero, Ippone, fondò Ipponio chiamandola col suo nome. Siffatta credenza è riportata dall'Alessandra di Licofrone di Calcide, vissuto alla fine del IV sec. a. C.
In questa tragedia, prezioso testo mito-geografico dell'Italia antica, Licofrone ci dà l'esatta descrizione del colle Ipponiate visto dal mare, egli che ben conobbe questi luoghi avendo abitato a lungo nella Magna Grecia e specialmente a Reggio, patria dello storiografo Lico, ritenuto suo padre o padre adottivo. L'illustre trageografo immagina che un servo riferisca a Priamo i deliranti presagi della profetessa Cassandra, incarcerata sulla vetta del monte Ade:
Dei figlioli di Naubolo i nocchieri,
i paraggi toccarono di Temesa,
ove Lampate l'aspra al mar sua rupe
affaccia, a riguardare l'alte cime
d'Ipponio che di Crissa ave i confini
a sé rimpetto. Là in l'opposto lito
nel qual Crotona va a specchiarsi lieta,
e ognora più cara a se stessa pare,
aprono solchi al bruno suolo i buoi,
immergendovi dentro acuti vomeri.
La storia d'Hipponion fino al 389 a.C. è avvolta nel mistero: si sa con certezza che fu città greca, colonia di Locri, che fu sotto il dominio di Siracusa con Dionigi il Vecchio, sotto Alessandro d'Epiro, di Agatocle, dei Bretti, cui la sottrassero i Romani verso la fine della seconda guerra punica, istallandovi una Colonia, nel 192, col nome di Vibo Valentia.
Questo testo è tratto dal libro "Vibo Valentia nella sua storia" di Mons. Dott. Francesco Albanese
- Seconda Edizione Riveduta ed Ampliata - Parte I, pagg 11-14, Ed. Grafica Calabrese, Vibo Valentia, 1974.